domenica 13 ottobre 2013

Immigrazione: Lampedusa, lo schermo della vergogna - di Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni, Tamar Pitch

emigrati.it - news


Lampedusa

Lampedusa non è solo l’estremo lembo dell’Italia e dell’Europa, la cosiddetta porta della penisola e del continente sull’altra sponda del Mediterraneo. E’ anche, come sa chiunque ci abbia messo piede per poche ore, un microcosmo delle contraddizioni feroci della globalizzazione. E’ un posto dove la presenza spettrale dei migranti rinchiusi e stipati nel centro di accoglienza convive, per molti mesi dell’anno, con la presenza spensierata dei turisti in vacanza. Dove l’incombenza quotidiana della morte convive con l’eterno presente dell’industria dello svago. Dove accade – è accaduto, tante volte – che i corpi dei vivi che si immergono nel mare si imbattano con i cadaveri che il mare sospinge verso le spiagge o sbatte sugli scogli. E’ il posto dove i corpi che contano, e che si contano uno per uno perché equivalgono ad altrettanti consumatori di alberghi, bar, creme abbronzanti e spay antizanzara, si muovono contigui a quelli che non contano, e che si contano a grappolo, a decine o a centinaia quando arrivano dal mare vivi o morti, senza singolarità senza nome senza storia. E’ un posto dove noi europei arriviamo con un trolley carico di tutti i nostri (vacillanti) diritti, e loro, i migranti, arrivano senza neanche il diritto a essere sepolti e compianti.


Chiamata ”frontiera d’Europa” dai nostri politici che non sanno di che parlano, Lampedusa è dunque precisamente il posto dove l’idea di frontiera e di confine si vanifica, dissolta dal mare. Obbedendo a un nome più antico della geopolitica, il Mediterraneo – mare di mezzo, e di mediazione – rimescola quello che i confini della politica e della legge pretendono di dividere. Non c’è sovranità statuale che tenga, a Lampedusa. Non c’è legge di Schengen che valga, nel mare di mezzo. Non c’è barriera di cittadinanza possibile, dove il proprio dei diritti si perde nel nostrum del mare. Dove il mare restituisce la contiguità fra la vita e la morte che sta alla radice dell’umano, lì le politiche di distribuzione gerarchica e annichilente dei diritti, cento a noi e zero ai migranti, getta la maschera e si mostra per quello che è: una tanatopolitica basata, né più né meno che ad Auschwitz, sulla pretesa sadica di dividere gli umani in più umani, ”noi”, e meno umani, ”loro”.


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