giovedì 8 settembre 2011

L'esilio - un brano di DEMONI E SANGUE: 'ndrangheta un potere glocale e invisibile


Un estratto da



Capitolo Undicesimo
L’esilio
Le conquiste di un esule sono costantemente minate dalla perdita di qualcosa che si è lasciato per sempre alle spalle.
Edward William Said
La realtà dei fatti è che non si può vivere in Calabria da uomo libero. Semplicemente perché è impossibile ottenere in modo dignitoso un lavoro. E poi perché non si può esprimere il proprio pensiero e nemmeno il proprio voto liberamente, senza subire dirette conseguenze. O se si è particolarmente influenti socialmente, positivamente, umanisticamente, su un certo numero di persone, senza rischiare di morire ammazzati. Di sparire definitivamente. Come minimo si viene emarginati e perseguitati se non si rispetta il Tabù.
Opporsi a un uomo potente, in Calabria, per esperienza diretta, sul campo, comporta l’immediata esclusione da parte della collettività. Quasi sempre è la famiglia stessa che isola e disconosce il reo. Contestare l’operato del tiranno, piccolo o grande che sia, è vissuto dalla società come una mancanza di rispetto. Siamo noi, scrittori, giornalisti, associazioni, persone comuni - esempi in estinzione dei Cittadini - ad essere considerati dannosi e inopportuni socialmente. Il mantra è: quelli che ostinatamente denunciano le malefatte sono degli “infami”. Secondo me invece gli esseri umani per essere “persone” devono difendere gelosamente e praticare quotidianamente la libertà di espressione. In una società come quella calabrese, che, con pervicacia e determinazione, non ha mai voluto assorbire l’esperienza storica né del Diritto romano e né di quello arabo, che ha dimenticato le sue origini greche e l'utopismo medioevale, che ha subito un danno incolmabile dall'Unità d'Italia, assistiamo alla messa in scena di una struttura culturale antropologicamente tribale. In tale contesto, mitologico ma di concreta attuazione storica, lo ‘ndranghetista, il politico, il potente, assumono il ruolo di Totem all’interno della comunità. Chi vìola il Tabù è come se violasse il fondamento stesso sul quale la società si basa e va conseguentemente eliminato o quanto meno espulso. Senza possibilità d’appello. Esiliato. Si descrive la realtà della Calabria odierna alla luce di una scelta personale: la fuga. Fondamentalmente una riflessione sull’esilio. Forzato..
La ‘ndrangheta e la politica collusa violentano gli individui nelle profondità dell’essere. I potenti imbrigliano la psicopatologia collettiva, di cui è affetta larghissima parte della popolazione in seguito all'emigrazione massificata, verso propri precisi scopi. Un'opera bestiale di destrutturazione culturale volta alla sottrazione del contesto poetico dell’essere umano. Una sorta di rapimento collettivo delle anime. A scopo di estorsione e sfruttamento. Pian piano subito da chiunque. È la bruttezza dell'ambiente sociale a determinarlo. In mille forme, anche legali. Un metodo della “costruzione del consenso” che allo stesso tempo conformi i presupposti affinché la ‘Ndrangheta diventi un comune modo di pensare. Affinché divenga cultura.
Un esempio di questa poco illuministica visione è quello che nel libro «La società sparente» con Emiliano Morrone definimmo “il mito della terza figura“. Il concetto secondo il quale è impensabile ottenere una qualsiasi risposta, alle proprie esigenze o ai propri diritti, senza dover passare attraverso la mediazione di qualcun altro. Per qualsiasi pratica, illegale o legale che sia. Da questo si deduce che la lezione illuministica non ha mai avuto seguito in Calabria. Grazie ad una sinergia fra il potere politico e quello della ‘ndrangheta con fredda determinazione è stata man mano uccisa l’autonomia individuale delle persone. Al fine di renderle schiave di un dominio mafioso delle coscienze. Una vera e propria scuola di pensiero. Garantita dal potere militare, politico ed economico della ‘ndrangheta e dalle infiltrazioni nelle istituzioni attraverso la massoneria. Devastante. La 'Ndrangheta, con la maiuscola, intesa come modo di pensare diviene parte integrante della quotidianità, addirittura indispensabile componente, in un processo, che il filosofo Alfonso Maurizio Iacono, applicandolo ad altre categorie, definisce “naturalizzazione”. Nel libro Morrone ed io cercammo di descrivere il processo di naturalizzazione che sta avvenendo e che porta a considerare alcune forme di corruzione, o altri animaleschi comportamenti predatori, come del tutto naturali, o addirittura indispensabili per l’esistenza umana. Tentammo di dare corpo alla teoria di Alfonso Maurizio Iacono secondo la quale esistono stretti rapporti tra storia, filosofia, antropologia e politica di un popolo. Riflettendo sulla necessità della ricerca di “autonomia”, o come dice Gianni Vattimo di “emancipazione”, non potevamo non notare quanto siano sottomessi i Calabresi. È questa mancanza della consapevolezza di aver la possibilità, oltre che il dovere, umano, di essere autonomi, che conferma e conforma il potere della 'ndrangheta su di loro. La malavita esercita un controllo incondizionato sulle decisioni quotidiane della gente. Per quanto riguarda l’espressione del voto il dominio è tale da permettere alla criminalità di controllare direttamente ed interamente la politica. Ne consegue che i Calabresi per continuare ad “essere” hanno due possibilità: adeguarsi alle regole della malavita o andarsene. Se non ci si adegua si è costretti a sparire prima che siano loro a farti sparire definitivamente.
Attualmente, sia io che Morrone, rispetto ai tempi in cui scrivemmo «La società sparente», dall’esilio riflettiamo di più sulla responsabilità delle persone nel far si che il malaffare continui ad essere. Cerchiamo di descrivere la maniera in cui la popolazione è anche protagonista e non solo vittima dell’arretratezza della propria terra. Su come la gente si sia privata di qualsiasi forma di dignità civile e di come questo permetta al potere criminale di consolidarsi sempre più. Dall’altro lato, se in Calabria si manifesta capacità relazionale ed aggregativa, saggezza, garbo, razionalità, solidarietà, progettualità, programmazione, bellezza, poesia, è la fine!
Emiliano Morrone sta scrivendo sempre della Calabria ma spogliandosi il più possibile della sua persona; allargando la sua visione nel senso più alto della parola politica, rendendo umile lo sguardo di chi descrive quasi ad annullare il soggetto osservatore. L'inchiesta come ricerca continua di un'apertura a nuove possibilità sociali; la speranza di una Calabria migliore. Al contrario io scrivo della Calabria in modo introspettivo, a tratti superbo, e teso a descrivere quello che vive l'osservatore da un punto di vista ristretto. Forti sentimenti ed una voglia di riscatto personale indipendente dal riscatto della mia terra e della sua gente. L'esclusivo tentativo di conquista di uno spazio espressivo individuale. Privo di speranza di riscatto per la propria terra che si da per sempre persa. Morta. Uccisa. Bruciata. Seppellita. Elaborato il lutto se ne scrive come se fosse scomparsa. Per sempre. Ma il sentimento più forte, il desiderio di libertà, prevale ed impone di indicare a chi non si accorge della mostruosità della 'ndrangheta che lo avvolge silenziosamente nelle sue spire come questa si infiltri subdolamente nelle società ancora sane e di urlare l’orrore a chi farebbe ancora in tempo a liberarsene prima che ne diventi schiava come la Calabria.
Con la società, sana, solidale, in Calabria è sparita anche la poesia; sparita insieme alle parole della democrazia. Mai apparse per la verità, se non nella propaganda di politicanti imbonitori. Ombre di sillabe echeggianti il silenzio. Il silenzio sì. Va bene. La Poesia? che cos’è? A che serve? E' n'na cosa ca si manja? [1] Eppure non c’è un giorno della mia vita nel quale non pensi almeno una volta alla Calabria. Καλαβρία. Antichissima terra. Sarà che la mia ultima precipitosa partenza, nottetempo!, - obbligata e necessaria, dettata dal bisogno di sfuggire rapidamente a qualche esecuzione sommaria; un prologo di sevizie ed afflizioni con successiva sparizione del cadavere - è stata più improvvisa di altre partenze ponderate e scelte. Sarà la nostalgia della casa dove sono nato, dei miei mobili, dei dischi, dei libri; l'odore del camino. Il mio angolo dello yoga. Influisce anche il malefico fascino dei suoi misteri. La scura bellezza e la furbizia delle sue donne. Ma, se penso alla Calabria, non riesco a mandare giù questa sensazione amara di perdita definitiva. Una caduta vorticosa in un vuoto senza fine. Come un collasso dei sentimenti, un pugno, forte, deciso. Nel plesso solare.

Tratto da DEMONI E SANGUE: 'ndrangheta un potere glocale ed invisibile

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[1] Dialetto cosentino: è una cosa che si può mangiare?