lunedì 21 ottobre 2013

Emigrazione, da emergenza a risorsa: quadro normativo e sfida cristiana


Immigrati
Il traffico illegale dei migranti non è causa delle politiche repressive europee ma conseguenza

Riferimento: http://www.aleteia.org/it/politica/articolo/emigrazione-da-emergenza-a-risorsa-quadro-normativo-e-sfida-cristiana-4943002

Agli inizi degli anni cinquanta, nel clima psicologico della guerra fredda, l’Occidente scopriva la categoria sociologica americana del living border, il confine “vivente” che separa la Civiltà, storicamente stabile e determinata, dal mondo misterioso degli altri, da cui può emergere all'improvviso una massa di invasori (Europa, frontiera viva, in «Civitas», maggio 1951).

Da allora la figura terrorizzante dello straniero, l’invasore-oltre-confine, non ha smesso di alimentare nell’immaginario inconscio degli occidentali la paura ancestrale dello scontro di civiltà come competizione decisiva per l’accaparramento delle risorse del pianeta. In questo scontro di civiltà l’Europa dovrebbe difendere l’impenetrabilità dei suoi confini dall’assalto di 700 milioni di poveri che brulicano fuori dal continente e, possibilmente, esportare militarmente la sua democrazia nella speranza che ciò possa risolvere nel Terzo Mondo le cause remote della sottoalimentazione e dell’instabilità politica.

La grande paura, risvegliata dalla prossimità geografica del “confine vivente” del Canale di Sicilia, ha dettato negli ultimi anni le leggi italiane sull’immigrazione e ha scritto pagine dolorose per la memoria e la coscienza civile del nostro paese.

Ci è stato spiegato che le leggi 189/2002 "Bossi-Fini" e 94/2009 “pacchetto-sicurezza Maroni” sono normative europee, dotate di quell’incisività ed efficacia che Bruxelles chiede all’Italia in ragione della sua collocazione geografica, ultima frontiera mediterranea dell’Unione e per questo destinazione naturale degli sbarchi di massa fomentati da una rete di spietati trafficanti di esseri umani.

Di fronte all’enormità della tragedia lampedusana del 3 ottobre sarebbe invece opportuno ristabilire i veri termini della questione: il traffico illegale dei migranti non è causa e giustificazione delle politiche repressive europee ma, in parte, una sua conseguenza. E in questo quadro la legislazione italiana degli ultimi non ha apportato alcuna soluzione effettiva e praticabile ma solo contributo ad aggravare la situazione disumanizzando la condizione del migrante.


venerdì 18 ottobre 2013

Operazione Mare Nostrum: commenti e domande di Amnesty International Italia

Amnesty International Italia
L’annuncio dell’avvio della cosiddetta operazione “Mare Nostrum” da parte del governo italiano solleva inizialmente, secondo Amnesty International Italia, commenti e domande.
In particolare, l’organizzazione per i diritti umani ha notato che nella descrizione delle operazioni da parte del vice presidente del Consiglio Alfano e di altri esponenti istituzionali, si è fatta menzione di due distinte funzioni: il controllo delle frontiere - con riferimento esplicito all’effetto di deterrenza – e il soccorso in mare.
È positivo, per Amnesty International Italia, che le autorità italiane si stiano dando in modo chiaro l’obiettivo di rafforzare il soccorso in mare, anche attraverso un più accurato monitoraggio dello spazio interessato.
Alla luce del fatto che è necessario improntare ogni azione governativa al rispetto del diritto internazionale dei diritti umani, Amnesty International Italia ritiene fondamentale sapere come l’aspetto del soccorso in mare sarà conciliato con quello del controllo delle frontiere: soprattutto, occorrono maggiori dettagli sulle “regole del gioco, ossia di cosa fare nelle diverse situazioni” da definire “di concerto con i ministeri competenti”, come dichiarato nella conferenza stampa di presentazione dell’operazione.
Un interrogativo stringente riguarda, in particolare, il luogo in cui saranno condotte le persone soccorse in alto mare, rispetto al quale il vice presidente Alfano ha fatto un chiaro riferimento all’intenzione di condurle in un “porto sicuro” e di rispettare il diritto internazionale.
Amnesty International Italia vorrebbe avere la certezza che il governo italiano non consideri la Libia “porto sicuro”. L’organizzazione per i diritti umani ha notato con preoccupazione che dal dibattito di questi giorni sono risultati assenti elementi di chiarimento sullo stato della collaborazione tra Italia e Libia e sulle intenzioni dell’Italia a riguardo.
A luglio Amnesty International Italia aveva scritto al presidente del Consiglio Letta, alla vigilia del suo incontro col primo ministro libico Zidan, sottolineando ancora una volta l’inopportunità di ogni cooperazione in materia di controllo dell’immigrazione con un paese, la Libia, che viola i diritti umani di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, sottoponendoli a detenzione sistematica, maltrattamenti e torture.
A oggi, la posizione del governo italiano sulla cooperazione con la Libia resta poco trasparente.

LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE

giovedì 17 ottobre 2013

Immigrazione, così funziona nel resto del mondo


Washington. Bambine figlie di immigrati messicani negli Usa partecipano a una manifestazione in favore della riforma della legge sull'immigrazione (Credits: Drew Angerer/Getty Images)  
Washington. Bambine figlie di immigrati messicani negli Usa partecipano a una manifestazione in favore della riforma della legge sull'immigrazione (Credits: Drew Angerer/Getty Images)
Dalle porte aperte del Canada all'irraggiungibile Australia che non lascia avvicinare i barconi alle sue coste, passando per la Danimarca che paga gli immigrati per andarsene


Tutti i Paesi del mondo "combattono" (è proprio il caso di dirlo) con i flussi migratori che a seconda dei momenti storici si intensificano. E' naturale che gli Stati che più si trovano a fronteggiare il numero di migranti in arrivo sono quelli con le economie più floride, dagli Usa al Canada, passando per l'Australia e la Germania. Ognuno ha trovato un approccio diverso, a seconda delle necessità (vedasi richiesta da parte del mondo del lavoro) e, soprattutto, delle possibilità. Si va dalle porte aperte del Canada al divieto di sbarco in Australia. Vediamo Paese per Paese come viene affrontato il tema dell'immigrazione e quello dell'asilo politico, che comunque - a differenza delle leggi sull'immigrazione - è sancito dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, siglata dalla maggior parte dei paesi occidentali il 28 luglio 1951.
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mercoledì 16 ottobre 2013

Immigrazione: Per gli immigrati, non perdiamo la testa



Alla stazione di Wolfsburg, in Germania, un treno scarica uomini venuti dal Sud in cerca di un lavoro 

Wolfsburg, Germania, un treno scarica uomini venuti dal Sud in cerca di un lavoro

Emigrazione: siamo al panico. Come nel caso degli incendi nei locali pubblici dove si muore appunto per panico nell’ansia di sfuggire alle fiamme. La politica di taluni finalmente trova la colpa più eloquente per addossarla agli avversari. E intanto i problemi non si risolvono. La scienza delle Relazioni pubbliche ci suggerisce qualche sistema utile e modelli da imitare. (Ne parlai con umiltà in un libretto “La scienza delle relazioni pubbliche e l’emigrazione”; Bonfirraro ed.).
Il public relation manager, dunque, che cosa farebbe per affrontare il problema secondo le teorie esposte?
Facciamo un esempio: dividere, anzitutto, la grande massa del pubblico emigrato, individuando tutti i pubblici che lo compongo. Per nazionalità, per affinità, per razza, per religione, per età, per stato civile, per tendenze, per aspirazioni, per vocazione, per carattere linguistico e culturale. Con particolare attenzione al pubblico speciale: donne, vecchi, bambini e disabili.
Lo stato di salute del singolo. La provenienza e le situazioni familiari. Le vocazioni lavorative.
Insomma con una creazione di pubblici e sottopubblici, la più ricca possibile, al fine di conoscere tutti i caratteri e le diversità, per provvedere al meglio lo sviluppo e la sistemazione.
L’impatto disordinato con la massa eterogenea porta soltanto alla confusione. Mentre una razionale analisi per categoria è indispensabile, magari con la collaborazione degli interessati stessi (si dice che l’ammalato, come prima cosa, deve credere nella guarigione e poi deve avere fiducia nel medico e nelle cure per guarire).
Sono stati riportati molti episodi di successo, non escluso il fatto sconvolgente determinato dal crollo del “muro di Berlino”, quando milioni di tedeschi dilagarono per la Germania, in uno stato non meno felice degli emigrati odierni del nord Africa.

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lunedì 14 ottobre 2013

Nordest, i giovani scappano all'estero: Veneto seconda regione per emigrazione

di Daniela Boresi


VENEZIA - Si accende la voglia di partire. Che sia per la crisi, o semplicemente per il desiderio di cambiare vita e darsi nuove opportunità, gli abitanti del Nordest hanno ripreso la valigia. Ma se l’Italia la percentuale cresce sensibilmente a Nordest è da record, con il Veneto che risulta essere la seconda regione italiana per emigrazione: del biennio 2012-2013 sono lievitati di 14.195 (dalla Lombardia +17.573) chi ha deciso di lasciare la propria terra. Nordest è così la seconda area per emigrazione d’Italia dopo il Centro (seguita dal Nordovest, dalle Isole e dal Sud). Un Nordest che esporta cervelli, ma non solo: se infatti quasi la metà di chi se ne va ha un titolo di studio spendibile, l’altra metà si butta sulle professioni manuali.
Sono infatti cresciuti, in modo consistente, gli espatriati con licenza media inferiore (erano lo 0,3% nel 2010, sono il 24,4% nel 2011) diretti soprattutto in Germania e in Svizzera. Un flusso che fa tornare alla mente gli spostamenti degli anni ’50. Ad andarsene, ora anche verso la Cina meta emergente, è a livello nazionale circa il 3.1 per cento in più rispetto al 2012.
Emigrati che naturalmente non hanno più la valigia di cartone, come emerge dal Rapporto della Fondazione Migrantes: il 22% di chi parte è laureato, il 28% è diplomato e le prime regioni a perdere petali sono proprio le locomotive d’Italia (Lombardia e Veneto), seguite dalla Sicilia.

domenica 13 ottobre 2013

Immigrazione: Lampedusa, lo schermo della vergogna - di Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni, Tamar Pitch

emigrati.it - news


Lampedusa

Lampedusa non è solo l’estremo lembo dell’Italia e dell’Europa, la cosiddetta porta della penisola e del continente sull’altra sponda del Mediterraneo. E’ anche, come sa chiunque ci abbia messo piede per poche ore, un microcosmo delle contraddizioni feroci della globalizzazione. E’ un posto dove la presenza spettrale dei migranti rinchiusi e stipati nel centro di accoglienza convive, per molti mesi dell’anno, con la presenza spensierata dei turisti in vacanza. Dove l’incombenza quotidiana della morte convive con l’eterno presente dell’industria dello svago. Dove accade – è accaduto, tante volte – che i corpi dei vivi che si immergono nel mare si imbattano con i cadaveri che il mare sospinge verso le spiagge o sbatte sugli scogli. E’ il posto dove i corpi che contano, e che si contano uno per uno perché equivalgono ad altrettanti consumatori di alberghi, bar, creme abbronzanti e spay antizanzara, si muovono contigui a quelli che non contano, e che si contano a grappolo, a decine o a centinaia quando arrivano dal mare vivi o morti, senza singolarità senza nome senza storia. E’ un posto dove noi europei arriviamo con un trolley carico di tutti i nostri (vacillanti) diritti, e loro, i migranti, arrivano senza neanche il diritto a essere sepolti e compianti.


Chiamata ”frontiera d’Europa” dai nostri politici che non sanno di che parlano, Lampedusa è dunque precisamente il posto dove l’idea di frontiera e di confine si vanifica, dissolta dal mare. Obbedendo a un nome più antico della geopolitica, il Mediterraneo – mare di mezzo, e di mediazione – rimescola quello che i confini della politica e della legge pretendono di dividere. Non c’è sovranità statuale che tenga, a Lampedusa. Non c’è legge di Schengen che valga, nel mare di mezzo. Non c’è barriera di cittadinanza possibile, dove il proprio dei diritti si perde nel nostrum del mare. Dove il mare restituisce la contiguità fra la vita e la morte che sta alla radice dell’umano, lì le politiche di distribuzione gerarchica e annichilente dei diritti, cento a noi e zero ai migranti, getta la maschera e si mostra per quello che è: una tanatopolitica basata, né più né meno che ad Auschwitz, sulla pretesa sadica di dividere gli umani in più umani, ”noi”, e meno umani, ”loro”.


venerdì 11 ottobre 2013

Immigrazione clandestina: “Liberare” i migranti senza “arrestare” i capitali? Un suicidio politico

emigrati.it - news


 Emiliano Brancaccio - Divulgazione - Materiale didattico, divulgativo e per la ricerca - http://www.emilianobrancaccio.it/
Emiliano Brancaccio - Divulgazione - Materiale didattico, divulgativo e per la ricerca

Contestare il reato di immigrazione clandestina senza aprire una contesa più generale per il controllo dei movimenti di capitale e per un’alternativa di politica economica, costituisce un suicidio politico. Spunti di riflessione per una “sinistra” allo sbando, da tempo incapace di dare coerenza logica alle fondamentali battaglie contro l’avanzata dei movimenti xenofobi e razzisti.



Pubblicato sul Financial Times il 23 settembre scorso, il “monito degli economisti” denuncia la mancata volontà delle classi dirigenti europee di concepire una svolta negli indirizzi di politica economica, e individua in tale mancanza una causa delle “ondate di irrazionalismo che stanno investendo l’Europa” e dei relativi “sussulti di propagandismo ultranazionalista e xenofobo”. La recente tragedia di Lampedusa costituisce un esempio terrificante delle conseguenze di questa palese ignavia politica. Il riferimento non è solo al raccapricciante tentativo del Presidente della Commissione europea Barroso di mettere un velo su questa vicenda ricorrendo a una elemosina europea. Il problema sta pure nel modo in cui le forze di sinistra si sono lanciate in una battaglia per l’abolizione del reato di immigrazione clandestina previsto dalla legge Bossi-Fini.

Naturalmente, nessuno qui nega che sia giusto cercare di intercettare il moto di sdegno che ha attraversato il paese, di fronte alla notizia che i superstiti del disastro di Lampedusa subiranno anche la beffa di essere imputati per il reato di clandestinità. Ma bisogna rendersi conto che oggi più che mai la politica non può esser fatta solo di sdegno o di mani passate sulla coscienza. Soprattutto in tempo di crisi, la politica è alimentata in primo luogo dalla volontà dei singoli e dei gruppi di difendere i propri interessi, di dar voce alle proprie istanze. Le forze di sinistra dovrebbero ricordare che siamo nel mezzo di una catastrofe occupazionale che dall’inizio della crisi ha visto crescere i disoccupati di 7 milioni di unità in Europa e di un milione e mezzo soltanto in Italia. Per le forze politiche avverse agli immigrati si tratta di una manna, di un terreno elettorale fertilissimo. Se non si vuole che la lotta contro il reato di immigrazione clandestina si trasformi in un boomerang dal punto di vista dei consensi, occorre allora collocare quella lotta in una più generale analisi della crisi e in uno sforzo di individuazione delle risposte politiche realmente in grado di fronteggiarla.